martedì 25 dicembre 2007

Piccolo battibecco con Pietro Ostellino

Lettera da me scritta a Pietro Ostellino
(ex direttore del "Corriere della Sera", nonché autorevole opinionista).
Caro Ostellino,
nei Suoi ultimi articoli m’è parso ravvisare una sorta di “furor" antidirigista che, onestamente, mi pare un tantino fuori luogo.
Premetto che, a mio ingenuo avviso, liberalismo (in senso economico) significa poter “fare impresa” senz’altri vincoli eccetto quelli derivanti dalla tutela degli interessi generali rispetto a quelli “particulari” e che tale tutela spetti alla legge liberamente votata dai cittadini e/o dai loro rappresentanti.
Un banalissimo esempio chiarisce il mio umile punto di vista: l’Italia (poteva essere altrimenti?) fu buona ultima nell’imporre la data di scadenza sui prodotti alimentari; ovviamente un simile provvedimento va contro l’interesse “particulare” del casolino, che si vede costretto a buttare la merce scaduta (?) con conseguente danno pecuniario, ma tutela l’interesse generale del consumatore, che non rischia di finire all’ospedale per intossicazione, forse.
Ordunque, mio dotto Destinatario, ben rammento che, nella Jugoslavia titina (la Jugoslavia titina? I comunisti? Le foibe? Vade retro Satana!!!), tale normativa era già applicata trent’anni prima che nel nostro paese, eppure nemmeno il più becero anticomunista d’allora si sognò mai d’appigliarsi a questo motivo (ad altri più fondati motivi si) per vituperare il caudillo balcanico e additarlo a esempio di miope dirigismo comunista.
Da liberale “storico”, quale molto umilmente mi ritengo (il che non equivale affatto a ritenermi liberista ché, secondo me, tra le desinenze “-ale” e “-ista” v'è un baratro e la comune radice “liber-” ha la funzione di gabbare i “pauperes spiritu”), mi pare che, quando il “particulare” fa aggio sul generale (aggettivo), si producono piaghe sociali difficilmente ricatrizzabili e, a quanto vedo, i fatti sembrano darmi ragione: infatti oggigiorno (massimamente tra il 2001 e il 2006, guarda caso) il consumatore è letteralmente assediato da sciami d’“imprenditori” il cui obiettivo sembra essere, sempre e soltanto, quello di turlupinare il proprio prossimo, anziché di “fare impresa”, e le leggi vigenti consentono di tutelarsi poco e male contro siffatti ribaldi.
Almeno questa è la realtà in cui vivo io, non so Lei (A proposito, Ella sa quanto costa un litro di latte?)
Conosco già l’obiezione, mio paziente Destinatario: “È perché non ci s’affida abbastanza al mercato: aspettate e lasciate fare al MERCATO; la mitica età dell’Acquario tornerà per renderci tutti felici e contenti!”
Quasi il Mercato fosse un genio dispensatore di benessere, pace e giustizia... Mah?
In tutta franchezza e “mutatis mutandis”, questo modo di pensare mi rammenta quello di taluni veterocomunisti tignosi che, anche oggigiorno, vedono nel “Sol dell’Avvenir” una sorta di Soluzione Finale e, quando si parla di soluzioni finali, si sa come si comincia ma non si sa come finisca, sicuramente male.
In conclusione, anche nella fattispecie dovrebbe valere il principio (ahinoi, ormai obsoleto) “In medio stat virtus”, ma tant’é...
Le auguro ogni bene per le prossime festività.
Risposta di Ostellino
Ahimè, temo che in poche righe lei sia riuscito a dire un mare di sciocchezze. Imporre la data di scadenza dei prodotti non c'entra né col mercato, nè col liberalismo, nè col dirigismo. E' una misura di salute pubblica che si può (si deve) applicare con una legge ordinaria. Quindi, bene che sia stata imposta.
La distinzione fra liberalismo e liberismo c'è solo nella lingua italiana ed è sbagliata: fra le libertà (al plurale) del liberalismo c'è anche la libertà economica. Che non significa affatto arbitrio del privato, bensì solo che lo Stato deve creare le condizioni in base alle quali ciascuno persegue il proprio interesse privato a condizione di non impedire agli altri di fare altrettanto.
Esempio: la libertà di mercato, il diritto di proprietà devono essere garantiti senza condizioni ideologiche (come è scritto invece nella nostra Costituzione, un compromesso fra il costruttivismo sovietico e il costituzionalismo liberale dell'epoca: art. 41 che condiziona l'iniziativa economica all'utilità sociale; art. 42 che condiziona la proprietà privata alla funzione sociale, eccetera), ma regolate da leggi ordinarie. Esempio: con la mia fabbrica non devo affumicare il mio prossimo o inquinare le acque del fiume; con i miei prodotti non lo devo avvelenare, eccetera).
Infine, il perseguimento dell'interesse individuale, così regolato, produce inconsapevolmente un
beneficio pubblico (come dimostra empiricamente la storia - e teoricamente - la cultura liberale, da Mandeville, a Hume, a Smith, fino a Hayek e Popper e confermano tutti i Paesi di cultura liberale, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti).
Fine della lezioncina. Eviti, se possibile, di darne lei, se non ha gli strumenti culturali per darne. Ostellino
Mia controrisposta
Innanzitutto La ringrazio per l'attenzione prestatami e Le significo di non aver preteso, con la mia segnalazione, di darLe alcuna "lezioncina" in quanto riconosco la pochezza dei miei strumenti culturali a fronte della Sua sterminata conoscenza circa politica, economia, lettere, giurisprudenza, sociologia, didattica, storia, geografia, giornalismo, critica, filosofia, eccetera (conoscenza che spero abbia incrementato informandosi sul costo del latte).
Le Sue cognizioni traspaiono non solo dai Suoi articoli ma anche da questa missiva, ch'Ella s'è degnato mandarmi senza tuttavia percepire (forse mi sono spiegato male) che, come detto, non intendevo impartirLe alcuna lezioncina, ma semplicemente esprimere un'opinione circa i contenuti e i toni di alcuni Suoi recenti articoli.
Orbene, mio paziente Destinatario, per esprimere un'opinione, non reputo necessari particolari strumenti culturali, secondo me basta riflettere, informarsi quanto basta, osservare senza preconcetti ed essere pronti a riconoscere che si può anche prendere un abbaglio (infatti solo gli
sciocchi, è noto, non cambiano mai opinione e, aggiungo io, i più sciocchi pretendono pure che sia valida "erga omnes").
Ebbene, non ho difficoltà a riconoscere che la mia opinione era sbagliata o, più esattamente, che non ho afferrato il senso degli articoli summenzionati: infatti la Sua risposta (posso osare?) potrei averla scritta pari pari io, sempreché avessi gli stessi Suoi strumenti culturali.
Io infatti ho modestamente scritto: liberalismo (in senso economico) significa poter "fare impresa" senz'altri vincoli eccetto quelli derivanti dalla tutela degli interessi generali rispetto a quelli "particulari" e che tale tutela spetti alla legge liberamente votata dai cittadini e/o dai loro rappresentanti.
Lei per contro scrive che liberalismo "...non significa affatto arbitrio del privato, bensì solo che lo Stato deve creare le condizioni in base alle quali ciascuno persegue il proprio interesse privato a condizione di non impedire agli altri di fare altrettanto".
Orbene, non riesco a vedere una differenza sostanziale tra queste due frasi (ma forse non posseggo gli indispensabili strumenti culturali): per me tutelare gli interessi generali e ostacolare l'arbitrio del privato sono due finalità identiche.
A questo punto sono amareggiato, non solo perché Ella non avrà il tempo d'illuminarmi come vorrei circa tale differenza, ma perché mi rode un piccolo sospetto, e cioè che Ella non abbia letto con attenzione la mia missiva (ci mancherebbe, ne riceverà a migliaia e questo perché Ella s'ostina a pubblicare il suo indirizzo e-mail sul "Corriere") e tale sospetto è confermato dal tono
"acidulo" che affiora dal Suo pregiato scritto e che (mi consenta) reputo ingiusto: infatti l'unico appunto che ho osato muovere a Lei personalmente nella mia scorsa lettera riguardava, ripeto, quel certo "furor".
Le altre mie considerazioni potevano essere magari sbagliate, ma investivano tematiche di carattere generale ed erano dettate da personali esperienze quotidiane che, giustamente, a Lei possono benissimo non interessare.
Comunque, se Ella ha letto in quelle considerazioni una lezioncina rivolta a Lei, vuol dire che non sono stato chiaro, e lo ribadisco per l'ennesima volta.
Caso mai la lezioncina la rivolgerei a certi personaggi sbucati come funghi particolarmente tra il 2001 e il 2006 e chioserei la lezioncina con un "NON CI CASCO!", magari ripetuto tre volte in segno di solidarietà con quanto proclamò il Presidente Emerito Scalfaro, continuamente e indegnamente calunniato da una banda di farisei (ma non divaghiamo e, soprattutto, non offendiamo i farisei).
Per concludere, può darsi benissimo che abbia condensato un mare di sciocchezze in poche righe e che abbia ripetuto l'errore in queste ulteriori righe. Non me ne può fregare di meno, visto che nel mondo dominato dal liberismo ormai prevale la tendenza a bollare di sciocco o mentitore chi non la pensi come te.
Caso mai me ne compiaccio: evidentemente posseggo un'abilità di cui non ero consapevole ed Ella, che ha gli strumenti culturali idonei a farlo, l'ha evidenziato... Chissà perché ripenso a Guareschi e mi viene in mente un passo in cui il Cristo rimprovera don Camillo, il quale attacca politicamente Peppone facendosi forte del fatto che l'avversario ha solo la terza... Grande Guareschi, tu sì sapevi scrivere, riflettere e far riflettere, ma soprattutto eri un semplice (non un sempliciotto!); per questo tanti, anche non condividendo la tue idee, le rispettano, ti ricordano con nostalgia e apprezzano tuttora i tuoi scritti.
Concludo ringraziandoLa d'avermi dato contezza dei miei limitati strumenti culturali, e mi consolo osservando che sparare affermazioni a dir poco avventate è una cosa che può capitare a tutti: v'è chi ne spara molte e piccole, v'è chi ne spara solo una ogni morte di papa, ma di grosso calibro.
A chi fosse interessato su come andò a finire il battibecco segnalo che Ostellino mi replicò e, se non mi diede ragione (Ci mancherebbe! Uno mostro sacro come lui non può sbagliare!), non mi diede neppure torto e, soprattutto, usò un tono più garbato.

Dal blog di Beppe Grillo

La contraddizione di un Paese ossessionato dal miraggio della ricchezza facile e senza soldi dove ci porterà?
La gente non si rassegna ad essere povera, se non può essere ricca, deve almeno far finta. L’apparenza del nulla costruita sui debiti.
Questa riflessione non è farina del mio sacco ma la sottoscrivo in toto come pensierino finale del giorno di Natale del 2007.
Possa il 2008 donare un po' d'intelletto ai tanti mentecatti italici (non sono nati tali ma sono stati resi tali da un sistema indecente) spinti ad agire solo da quanto si trova al disotto del girocollo.

giovedì 13 dicembre 2007

Pubblicato da Mezzotoscano sul blog di B. Grillo il giorno 131207

E' un circolo vizioso: l'Italia ha un debito pubblico tra i più pesanti, per ridurlo occorrerebbero misure impopolari, per rendere accettabili tali misure bisognerebbe che la Casta, subito, rinunciasse a tutti, proprio tutti, i suoi privilegi, ma questo non intende farlo anche perché la Casta non si sente responsabile del debito e, paradossalmente, un po' di ragione la Casta ce l'ha. Infatti consideriamo un attimo in che periodo storico il debito pubblico ha subito una brusca impennata per non ridiscendere mai più: conti alla mano esso coincide (quando si dice il caso...) con il periodo in cui l'Italia era governata da un certo signore che poi, giustamente condannato, riparò ad Hammamet ove, successivamente, passò a miglior vita.
Tra l'altro mi pare sia lo stesso periodo in cui la Casta cominciò ad accumulare privilegi sempre più odiosi.
Non è nel mio stile infierire su chi riposa il sonno eterno però un fatto mi sconcerta: quasi tutti i politici d'oggigiorno continuano a esprimere giudizi positivi circa l'illustre defunto e si guardano bene dall'accennare alla strana coincidenza.
Chiaro che, stando così le cose, il sistema-paese non potrà mai andare meglio

martedì 4 dicembre 2007

Altre precisazioni circa le mie scelte politiche

In quasi cinquant'anni d'esercizio del mio diritto di voto ho cambiato spesso le mie scelte: ad esempio ho votato PLI (quando i liberali erano pochi e, soprattutto, erano veri liberali), Diccì (turandomi ovviamente il naso), MSI (non per particolari nostalgie, ma perché, all’epoca, quando sembrava che l’Italia fosse destinata a finire nelle grinfie dei “rossi”, ritenni si dovesse mandare un segnale forte) e persino Lega (nella quale credetti di ravvisare, sbagliando platealmente, un movimento in grado di dare una spallata all’infausto partito trasversale delle poltrone).
Sono dunque un voltagabbana? Non credo, perché il vero, autentico, voltagabbana lo è per tornaconto personale e prende parte attiva al teatrino della politica; a me invece tale teatrino ha sempre dato il voltastomaco e mi sono limitato a votare, di volta in volta, a seconda delle circostanze e senza ricavarne vantaggi personali di sorta.
Forse la verità è che le mie idee sono rimaste sostanzialmente le medesime ed è stata la politica a cambiare.
Oggi come oggi (anche perché la sola idea di solidarizzare con certi "anticomunisti" dichiarati suscita in me il più vivo ribrezzo) resta solo un punto fermo: “Sono sempre stato anticomunista. Morto il comunismo, non lo sono più”, per usare una frase di Giovanni Sartori.
Passando dalle meschinità dell’italica situazione a una visione più generale, rilevo come la socialdemocrazia, in numerose realtà, abbia dimostrato equilibrio ed efficienza nel risolvere senza traumi numerosi problemi sociali, merito anche della forte aliquota di liberalismo che contiene al suo interno.
In altri termini, nella dottrina socialdemocratica io ravviso un liberalismo più "welfare oriented", per cui (al di là delle italiche contingenze che, come chiunque ha agio di constatare, portano spesso a laceranti dicotomie) sono parecchio in sintonia con i veri liberali, così come lo furono il vecchio PSDI e il vecchio PLI quando si trattò di ricostruire l’Italia, mentre, nel ventre della vecchia “Balena Bianca”, le due anime convissero (con benedizione vaticana) per decenni e, tra difficoltà, contrasti, inciuci e papocchi, guidarono il Paese verso una prosperità che mai aveva conosciuto.
Poi venne Craxi... ma questo è un altro discorso.
In ogni caso, quando considero la grande tradizione scandinava, mi viene da pensare (parafrasando Brecht) “Felici quei paesi che non hanno bisogno di benefattori”.
Concludo con un’osservazione in merito: dovremmo, tutti, smetterla di sparare scemenze tipo “Già, ma quelli sono svedesi”; questa voluttà d'autodenigrazione (che, in fondo, è solo voglia d’autoassoluzione e deresponsabilizzazione) tipica di noi italiani non porta a nulla di buono.
Già da più parti sento affermare desolatamente: “Già, ma quelli sono cinesi”.
Dove andremo a finire? Non vorrei si giungesse a dire “Già, ma quelli sono zulù” (con tutto il rispetto per gli zulù, popolo ardimentoso e battagliero, s’intende).

giovedì 29 novembre 2007

Considerazioni (personalissime) sugli Arabi

Ho recentemente rivisto “Il fiore delle Mille e una notte”; ebbene, non so quanto Pasolini si sia attenuto al testo originale, ma l’impressione sugli Arabi ricavabile dal film è che, ai tempi di Harun-Al-Rashid, si trattasse di un’etnia tutt’altro che intollerante, violenta, bigotta, sessuofoba, inaffidabile e masochisticamente fatalista (quale, salvo eccezioni, m’appare oggi) e ciò risulta confermato anche da storici degni di questo nome.
Del resto è noto quanto il califfato di Cordoba sia stato un faro di cultura nell’Europa dei secoli bui e basta visitare l’Andalusia per convincersene. Perché dunque, dopo la “Reconquista”, gli Arabi hanno conosciuto un declino, un’involuzione da cui non riescono tuttora a risollevarsi? (O, forse, non hanno voglia di farlo)?
Secondo me una delle ragioni è perché, del Corano, alla gran massa venne e viene propinata solo la parte peggiore, se non un’immagine distorta (come accadde, del resto, anche per le nostre Scritture).
Ho inoltre il sospetto che, in larghi strati delle masse arabe, l’umiliazione della “Reconquista” non sia stata ancora assimilata e che, nelle “madrasse”, taluni pretacci oscurantisti, barbuti e inturbantati non si limitino solo a spiegare che “Allah è grande”, ma da secoli inculchino nelle giovani menti loro affidate, il germe del revanscismo più oltranzista (d’accordo, anche i fascistelli nostrani non si sono ancora rassegnati alla sconfitta, ma, vivaddio, sono passati solo sessant’anni, non ottocento!)
Il colonialismo ha poi completato la frittata, soprattutto quello franco/inglese; mi risulta infatti che, non per nulla, il Duce e il Führer godessero di grande popolarità tra le masse arabe, e questo la dice lunga.
Perciò ritengo che, al di là di talune incontinenze verbali, la Fallaci avesse ragione: il conflitto di civiltà è in atto o, quantomeno, il rischio che esploda è reale e da non sottovalutare, tanto più che l’Islam viene usato come mezzo per veicolare intolleranza e oscurantismo dagli Arabi verso altre etnie seguaci della stessa religione.

giovedì 15 novembre 2007

Il comunismo è morto

Non nutro alcun dubbio, fino a prova contraria, circa il fatto che il comunismo è morto.
Quanto a una certa “mentalità bolscevizzante" che, secondo alcuni agit-prop berlusconisti, sopravvivrebbe tuttora, gli unici rappresentanti che vedo sono, oltre a qualche politicante in cerca di visibilità, alcuni sparuti manipoli di squatters piantagrane, inconcludenti e perdigiorno, i quali contano meno di niente (se non per Fede, al quale sono funzionali onde render verosimile l’abusato stereotipo dei comunisti “brutti, sporchi e cattivi”).
Peraltro anche a destra vedo (e li vedo coi miei occhi, alcuni li conosco personalmente: la mia bella città è stata, per cinque lunghi anni, malgovernata da una giunta destrorsa) gente ideologicamente antitetica, ma intellettualmente, eticamente e antropologicamente affine alla summenzionata ciurmaglia, solo che questi soggetti hanno la scaltrezza d’adottare abbigliamenti e comportamenti da cicisbei, il che conferisce loro un “look” tanto perbenista quanto caro alle tardone preda di senili prurigini per il Cavaliere.

mercoledì 14 novembre 2007

Liber[al]ismo

Se la sinistra italiana mi sembra un bordello, la destra italiana mi sembra una discarica (mi riferisco ai rappresentanti non ai rappresentati, tra cui esiste gente degna di rispetto).
Orbene, pur ammettendo che nelle discariche spesso finiscono oggetti non meritevoli di finirvi, scelgo il bordello, visto che proprio sono costretto a farlo, se non altro puzza meno, ci si diverte e s’incontrano persone di scarsa virtù, quindi assai piacevoli da frequentarsi.
Scherzi a parte, la sinistra ha un merito: almeno a parole non considera il liberismo panacea d'ogni male. Perché questo è il peccato originale di certa destra, ancor più del criptofascismo. Con la semplice eliminazione di due lettere (AL) il liberismo intende astutamente scippare al liber[al]ismo il carisma conquistato in due secoli di lotte.
Ma io non casco nel tranello; il liberalismo è un’idea condivisibile, il liberismo invece è un termine ambiguo sotto cui spesso si nasconde il più becero veterocapitalismo o, peggio, la vecchia, insaziabile, devastante, multimillenaria “logica del profitto”.

martedì 13 novembre 2007

CVD

Come volevasi dimostrare.
In riferimento al post precedente leggo sul "Corriere della Sera" del 131107, alla pag. 12
Berlusconi "ospite" di Storace. Gli ebrei: errore. Lui si scusa.
Ogni commento è superfluo.

lunedì 12 novembre 2007

La maschera è stata gettata?

Il "Capataz" della destra nazionale non ha mai perso occasione d’ostentare il suo anti-antifascismo.
In proposito, rammento la vecchia regola algebrica dei segni: “meno per meno dà più”; se comunque v'erano ancora dubbi, con la sua partecipazione alla kermesse de “La Destra”, il nostro ha sostanzialmente apposto (ammesso ve ne fosse bisogno) la firma su una dichiarazione ufficiale: “Io sono fascista”... Un momento, rettifico, la dichiarazione corretta sarebbe "Io mi sento fascista", infatti il Nostro non si sogna mai di "essere" (per "essere" occorre una marcia in più), tutt'al più "si sente".
Del resto quando, anni orsono, la destra (con Forza Italia in testa) conquistò la mia città, alla festa per la vittoria fecero bella mostra di sé crani rasati, giubbotti neri, croci celtiche e vario canagliume nazistoide, senza che nessuno degli appartenenti ad altri movimenti (democratici?) presenti alla festa si sognasse di cacciare quei pitecantropi a calci nel didietro.
Comunque anche nelle manifestazioni (domanda retorica: pagate da chi?) contro i vari governi di centro-sinistra i pitecantropi neri hanno sempre trovato ottima accoglienza.
Concludo con la seguente citazione:
“Il fascismo non fa paura se non quando è troppo tardi per venirne fuori”
LUCIANO CANFORA (dal “Corriere della Sera”)

domenica 11 novembre 2007

Economista? Và avanti tu che a me viene da ridere

Non ho fiducia negli economisti e ne spiego uno dei motivi. Essendo l’Economia disciplina parzialmente supportata da strumenti matematici, questi “Soloni della pecunia (nostra)” la gabellano per scienza esatta.
Eh nò, cari signori, la scienza esatta è cosa diversa: la stessa Matematica non è scienza del tutto esatta, e parlo con cognizione di causa.
Se l’Economia fosse scienza esatta ogni buon economista potrebbe consentirsi d’assumere come lustrascarpe il sultano del Brunei.
Gli economisti, tra l'altro, forniscono lo spunto per un singolare parallelo coi sismologi, i quali sanno illustrare per filo e per segno un fenomeno quando questo ha già fatto migliaia di morti; ce ne fosse uno, dico uno, capace di prevederlo; ma la sismologia non è scienza esatta e i sismologi, correttamente, lo riconoscono, il che gli economisti non fanno nei confronti della loro disciplina, anzi...
In tutta franchezza, la tradizionale “casalinga di Voghera”, quella che stenta ad arrivare a fine mese, penso sia un’esperto d’economia più affidabile di tanti "sapienti".
Comunque così vanno le cose.
Chiudo l’argomento parafrasando quel gerarca nazista che dichiarava: “quando sento parlare un intellettuale, la mano corre istintivamente alla pistola”; ebbene, il sottoscritto dichiara: “quando sento parlare un economista, la mano corre istintivamente alla tasca... per vedere se il portafogli c’è ancora ”.

sabato 10 novembre 2007

Pensierino notturno

La vita è come un viaggio in mongolfiera: più ti alzi e più zavorra scarichi.

venerdì 9 novembre 2007

Una generazione privilegiata?

Circola una leggenda metropolitana circa la mia generazione, quella di coloro i quali, grosso modo, raggiunsero la maggiore età durante i “favolosi” anni ’60 e riuscirono a inserirsi tra i cosiddetti lavoratori a reddito fisso (e -si fa per dire- “garantito”)
Infatti si favoleggia:
“Voi avete avuto TUTTO:
  • lavoro a tempo indeterminato,
  • retribuzioni a dir poco dignitose,
  • cassa integrazione,
  • articolo 18,
  • statuto dei lavoratori,
  • sostanziale illicenziabilità,
  • scala mobile,
  • assegni familiari,
  • pensioni calcolate con il metodo retributivo,
  • baby-pensioni,
  • pensioni d’anzianità a 50 anni,
  • sostanziose liquidazioni,
  • assistenza sanitaria gratuita,
  • equo canone,
  • tariffe basse,
  • niente ICI,
  • possibilità di comprar casa senza tirare la cinghia,
  • ferie e assenze per malattia retribuite,
  • permessi vari retribuiti,
  • sindacati che facevano più i vostri interessi e meno politica,
  • confindustriali arrendevoli,
  • e inoltre tanta sicurezza, sicurezza, sicurezza...
Non consideriamo poi il secondo o terzo lavoro in nero, le alte cedole sui titoli, eccetera."
Vero (o quasi) ma, a parte il fatto che certi benefici (quelli sociali, intendo) non ce li siamo conquistati solo sindacalmente, ma anche convivendo con un’inflazione a due cifre, con ripetute svalutazioni della lira, con svariati shock petroliferi, con vertiginosi e non sempre giustificati aumenti dei prezzi, con il nostro lavoro (spesso unica nostra vera ricchezza).
Inoltre (tranne quelli di famiglia benestante) mai abbiamo aspirato a:
  • possedere fuoristrada da sostituire come fossero calzini (massima nostra meta l'"Alfetta" metallizzata),
  • villeggiare alle Maldive come si trattasse di Viserbella,
  • acquistare capi che costano come sei stipendi d’un bancario,
  • mettere al polso Rolex d'oro a carica automatica,
  • esibire videofonini e altri gadgets elettronici a iosa,
  • cenare in ristoranti a cinque stelle come fossero trattorie fuori porta...
  • e via "sbulaccando".
Questo tanto per puntualizzare.
Privilegiati noi? Ma vogliamo scherzare? Riflettiamo, piuttosto.
Adesso noi ci troviamo tra incudine e martello, come si suole dire: infatti, con i nostri emolumenti “privilegiati”, da un lato dobbiamo provvedere a genitori i quali, grazie a Dio e ai progressi nella geriatria, potrebbero vivere sino alla soglia del secolo, ma che, grazie alla Previdenza Sociale (la quale elargisce loro le pensioni che sappiamo), non riuscirebbero a sopravvivere se noi non li finanziassimo; dall’altro dobbiamo mantenere figli ultratrentenni, i quali, grazie a politiche salariali indegne d’un paese che si vanta d'essere un “grande e ricco” paese del primo mondo, non riescono farcela con i propri mezzi.
E sorvoliamo su quelli di noi che debbono badare pure ai nipotini.
Forse abbiamo avuto TUTTO ma, se non si mette mano ad autentiche riforme, presto, certamente, non avremo PIÙ NULLA e, con noi, i nostri genitori (privati d’una dignitosa vecchiaia) e i nostri figli (privati del loro futuro).
Quanto ai nipotini, “Noi [almeno si spera] non ci saremo”, come cantavano i Nomadi nei “favolosi” anni ‘60.
Sintetizzando brutalmente: tre o quattro generazioni di lavoratori sono a rischio povertà, milioni di “borghesi” sono a rischio povertà (I signori paleocomunisti sono contenti? Finalmente gli odiati "borghesi" sono fottuti).
Comunque vada, non basteranno a restituirci l’ottimismo né le battutine di certi attempati signori, genere “gagà-che-aveva-detto-agli-amici”, né gli incomprensibili borbottii di certi professori soprannominati con il vocabolo che designa un gustoso insaccato.

Una variabile indipendente

Correvano gli anni 70 quando l'allora segretario della CGIL, la buonanima di Luciano Lama, lanciava la proposta di considerare i salari come "variabile indipendente" nei processi economici. Giusta fu allora la levata di scudi contro una proposta palesemente aberrante (tant'è che lo stesso Lama fece poi onorevole ammenda). Però non si capisce perché lo stesso principio non debba valere anche per i profitti; in altri termini qualcuno dovrebbe spiegare perché, anche in periodo di crisi, i profitti continuino ad aumentare, mentre i salari diminuiscono.

Una funesta conseguenza del comunismo

Una delle più funeste conseguenze del comunismo è che, con la sua caduta, certi loschi arnesi, la cui unica preoccupazione era (ripeto era) quella di vedersi fottere dai "rossi" i loro malguadagnati quattrini, adesso possano erigersi a paladini delle libertà, mentre l'unica libertà che preme loro è quella di poter continuare ad infilare le mani nelle tasche di chi lavora onestamente.

Una domanda

Una domanda: perché il ricco che fa i suoi interessi viene definito "abile uomo d'affari", mentre il povero che tenta di fare i suoi (senza riuscirci, altrimenti non sarebbe povero) viene definito "comunista"?

Difensori della vita

Tra i cosiddetti difensori della vita esistono due scuole di pensiero:
  • la prima si preoccupa della vita di bestie, vegetali, ecc. non curandosi per contro di quella dei feti (umani, s' intende; per quelli -che so io- di foca monaca è diverso);
  • la seconda, invece, si preoccupa esclusivamente della vita dei feti umani non curandosi per contro di quella di negri, ebrei, comunisti, immigrati e altri soggetti viventi che, secondo i seguaci di detta scuola, non appartengono alla specie umana.

lunedì 5 novembre 2007

Doveroso chiarimento

Visitando questo blog qualcuno potrebbe muovermi un'obiezione: "tu spari bordate contro la destra ma come la metti con i comunisti?"
Primo: io non sparo bordate contro la destra tout-court, ma solo contro una certa destra oggigiorno prevalente, e non solo in Italia; penso peraltro che, anche a sinistra, non vi sia molto di meglio.
Secondo: per quanto riguarda i comunisti mi limito a citare il vecchio adagio secondo cui la via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni e a incazzarmi quando qualche taleban-berlusconista considera comunisti quelli che non la pensano come lui (conosco dei berlusconisti moderati con cui si può ragionare; il guaio è che chi gioca a fare l'estremista mi pare proprio LUI, il loro "Capataz", e lo fa troppo spesso)
Per me l'ideale sarebbe una democrazia dell'alternanza tra una grande forza socialdemocratica e una grande forza democonservatrice, pronte a battersi fieramente sul piano politico (e propagandistico) ma non meno pronte ad accordarsi quando c'è di mezzo l'interesse del Paese; da noi invece invece si starnazza come anatre e poi, dietro le quinte, si studiano sempre nuove "camarille".
Che la mia non sia un'utopia stanno a dimostrarlo molti altri stati dell'UE; lo è purtroppo in un'Italia in nella quale Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, Fascisti veri e sedicenti Antifascisti, politici e antipolitici sono sempre pronti a scannarsi, verbalmente per fortuna.

venerdì 2 novembre 2007

Sbirri nelle fiction e nella realtà

Qualcosa non mi quadra.
Rispetto ad altri paesi l'Italia ha un elevatissimo numero di componenti le forze dell'ordine eppure i malviventi di tutte le etnie, a cominciare dalla nostra, hanno agio di farvi i comodacci loro.
Come mai?
D'accordo, le risposte sono molte:
  • l'ipergarantismo applicato a pioggia, il quale vanifica spesso l'azione delle forze dell'ordine;
  • lo spropositato numero di scorte a gente che conta o che conta molto meno ma fa tanto persona che conta avere la scorta personale;
  • il gran numero d'imboscati (spesso, ammettiamolo, per motivi di salute o d'età) nelle varie questure, prefetture, distretti, caserme e via discorrendo;
  • il lassismo dilagante in ogni settore della società;
  • le mafie che prevaricano lo Stato in gran parte d'Italia e contro cui le varie azioni repressive non sono mai sufficienti;
  • eccetera.
Però v'è un aspetto su cui gradirei soffermarmi e gradirei sapere se il mio è solo un sospetto (a pensar male... con quel che segue).
Il punto è questo: da che mondo è mondo gli "sbirri corrotti" sono sempre esistiti ed esistono tuttora; orbene, possibile che in un paese come il nostro, ad altissimo indice di corruzione, gli sbirri siano sempre e comunque i gentiluomini che ci vengono presentati nelle varie fiction televisive? In altri termini mi chiedo se sia poi vero che nessun componente le forze dell'ordine prende mazzette per chiudere un occhio, o magari tutti e due, e quindi favorire il dilagare della malavita.
Sono certo che, se una simile domanda cominciasse a circolare, si leverebbe un coro di proteste non solo da parte di politicanti d'ogni risma, pennivendoli, commentatori televisivi, preti prezzemolini, ex ministri con problemi tiroidei, presidenti emeriti e gente simile, sempre pronti a tuonare sull'"onorabilità dei nostri eroici... bla, bla, bla", ma anche da parte di quei cittadini sempliciotti che, secondo i sondaggi, ritengono le forze dell'ordine al primo posto tra le istituzioni più affidabili.
Chi scrive non condivide certe acritiche prese di posizione e ritiene interesse delle stesse forze dell'ordine che si cominci - se esistono e se non dormono - a far lavorare quelli che, nei telefilm americani, vengono deminati gli uomini degli "Affari Interni".
Purtoppo, in uno stato dove il "Porto delle nebbie" è una delle ambientazioni preferite, non salterà fuori molto, ma tentar non nuoce.

giovedì 1 novembre 2007

Commento al decreto sui Rom(eni)

"Meglio tardi che mai" verrebbe voglia di dire.
Stavolta quei [censura] della sinistra radicale (tranne i soliti scalzacani "disubbidienti") hanno protestato blandamente e si sono soprattutto limitati a una raccomandazione: quella di non fare d'ogni erba un fascio.
Non c'è problema: noi moderati, a qualunque schieramento apparteniamo, non siamo soliti generalizzare, la nostra etica lo impedisce.
Solo i fascisti d'ogni colore fanno d'ogni erba un fascio (per questo si chiamano fascisti).
Non per nulla i fascisti di destra (neri, verdi, bianchi o azzurri) gratificano con il termine "comunista", senza troppi distinguo, chiunque non sia della loro opinione; i fascisti di sinistra, dal canto loro, usano lo stesso tono salvo che il termine è "fascista".
La differenza - molto pericolosa per la democrazia - è che i secondi non hanno i numeri per fare un beato piffero; invece i primi i numeri li hanno, e anche importanti. Se però i secondi avessero i numeri per fare più d'un beato piffero, idem con patate... E mi scuso per il discorso incasinato.
Noi cittadini onesti e moderati possiamo solo aspettare che il tempo faccia il suo corso e restare seduti sulla riva del fiume: prima o poi vedremo galleggiare qualche cadavere e stapperemo una bottiglia di champagne.
Tornando al tema mi limito a un'esortazione: chi ha certe responsabilità si dia da fare! E alla svelta. Nessuno, di destra o di sinistra che sia, è più disposto ad attendere.
P.S. - Qualcuno, leggendo i "post" passati e futuri, obietterà: "e tu ti dici moderato? Ma fammi il piacere!" Il fatto è, caro qualcuno, che anche noi moderati, talvolta, abbiamo il vizio d'incazzarci; io poi non ce l'ho solo talvolta ma spesso, sempre più spesso.

martedì 30 ottobre 2007

Momtezemolo ha sbagliato di un anno

Montezemolo ha detto bene (sono dodici anni che l'Italia non è governata) ma ha ha sbagliato d'un anno. Infatti tutto cominciò nel 1994 (ossia tredici anni fa) con la scesa in campo del Cavaliere.
Da allora la "Sinistra" (virgolettato) ha letteralmente perso la tramontana e tutte le sue buone intenzioni, ammesso ne avesse, sono state travolte dall'ansia antiberlusconista, motivo per cui ha operato poco e male, e continua a farlo tuttora.
D'altro canto la Destra (non virgolettato), quando ha avuto occasione di governare, ha sempre scelto (sia pure con qualche mugugno) di prosternarsi di fronte al suo "Capataz" il quale, più che il capo del governo, ha preferito fare il capo "dell'opposizione all'opposizione", per cui ha combinato di meno e di peggio.
Comunque un bravo a Luca-Luca!

Pensierino notturno

Chissà perché i governi fanno sempre gli interessi dei ricchi, visto che questi i loro interessi li sanno già fare da sé, e anche troppo bene.

domenica 28 ottobre 2007

Speranze assurde?

Povera sinistra ma soprattutto poveri salariati italiani se, per sentire "qualcosa di sinistra", debbono ascoltare le parole del signor governatore di Bankitalia!
Bravo Draghi! Continua così.
E bravo Montezemolo: hai parlato "a nuora perché suocera intenda", peccato che qualcuno molto in alto non lo capisca e l'abbia presa come offesa personale.
Due persone come voi m'inducono a pensare che qualche speranza si possa ancora coltivare... O no?

A proposito di Olof Palme

Gli ambienti conservatori yankee non odiano solo i comunisti ma detestano anche tutto ciò che puzza di socialismo democratico: evidentemente quei signori ignorano (o fingono d'ignorare) che la socialdemocrazia europea fu fiero avversario dei comunisti che minacciavano il nostro Continente; ciò dimostra (se ve ne fosse bisogno) che i conservatori yankee si batterono contro il comunismo non per amore della democrazia ma per paura che i comunisti arraffassero i loro soldi più o meno onestamente guadagnati.
Il guaio per i conservatori americani fu (ed è) che, in molti paesi d'Europa, la socialdemocrazia, unitamente ai movimenti cristiani e/o autenticamente liberali (con i quali ebbe confronti serrati ma sempre equilibrati e corretti), contribuì a realizzare una società mediamente migliore di quella yankee.
Per inciso, in questo quadro generale l'Italia ha rappresentato un'eccezione (e ti pareva!): quello socialdemocratico fu un partitino di scarso peso politico ma di discreto peso morale, almeno fino alla scomparsa di Saragat, quando fu travolto dagli scandali (e ti pareva!).
Quanto al PSI, dopo che il suo segretario più carismatico fu insignito del premio Stalin, intraprese un lungo e travagliato cammino verso la socialdemocrazia ma non incontrò sorte migliore del nemico/amico PSDI (e ti pareva!).
Qui in Italia, inoltre, s'è arrivati al grottesco (e ti pareva!): alcuni vecchi arnesi del vecchio PSI, animati da revanscismo più che da interesse per le "classi subalterne", militano in movimenti criptofascisti pur continuando a dichiararsi socialisti!
Ma questa è l'Italia e, soprattutto, questo è un altro discorso.
Riprendendo il filo, Ronald Reagan fu degno rappresentante dei summenzionati ambienti conservatori yankee, i quali vedevano e vedono nel libero mercato e nel liberismo selvaggio la soluzione di tutti i problemi sociali (non sono tanto imbecilli da credere che le cose stiano così ma fa loro comodo che lo creda la gente), mentre ogni forma di socialismo (democratico e non) è una spina nel loro fianco, soprattutto se, alla prova di fatti, funziona; e in Europa, in particolare nei paesi scandinavi, la socialdemocrazia ha dimostrato di funzionare .
Orbene: il premier svedese Olof Palme, un politico rampollo (ironia della sorte) d'una famiglia d'orientamento conservatore, molto amato nel suo paese e molto stimato a livello internazionale, era un prestigiosissimo esponente di quella socialdemocrazia che tanto benessere seppe donare a un paese, agli inizi del secolo scorso tra i più poveri del Vecchio Continente.
In pieno regime reaganiano Palme cadde vittima d'un attentato e il caso rimane tuttora irrisolto.
"A pensar male si fa peccato" afferma qualcuno "però..."
Bene, io sommo due più due, penso male e dico "però..."

sabato 27 ottobre 2007

Un apologo

Mi chiedo cos'abbia nella scatola cranica una certa sinistra che sostiene acriticamente la politica delle "porte aperte", manco l'Italia fosse una concessionaria Toyota in periodo d'incentivi.
Dubito pertanto che squatters, nullafacenti, sedicenti "liberals", ospiti di centri sociali che nemmeno i sindaci destrorsi osano chiudere, "compagni" in pelliccia e SUV eccetera - per tacere di taluni sant'uomini che... soprassediamo: meglio "lasciar stare i santi" - vogliano accettare il mio apologo, comunque io ci provo... Hai visto mai?
Ed ecco il mio apologo, se lor signori permettono.
Poniamo che un malnato scagli un candelotto di dinamite in un laghetto di montagna per farsi una scorpacciata d'innocue trotelle: non c'è dubbio che perfino un accanito antiambientalista (come il "buttero ubriacone" tanto per capirci) invocherebbe contro il malnato le giuste sanzioni di legge.
Se però un tizio, costretto a bazzicare le paludi amazzoniche, vede un branco di piranhas ben decisi a far di lui una squisita merenda e non ha altra arma che un candelotto di dinamite, non c'è dubbio che perfino un taleban-animalista oserebbe biasimarlo se usa il candelotto per difendersi.
Ora, egregi sinistrorsi generosi con i soldi altrui, il frequentatore delle paludi amazzoniche sarebbe l'italiano medio, assalito da un'orda famelica (i piranhas) proveniente da tutto il mondo e a tutto decisa pur di rapinare, saccheggiare, rubare; il candelotto di dinamite sarebbe il codice penale (non occorrono leggi speciali, signori fascisti, sappiamo quanto vi piacciono ma basterebbe applicare quelle che ci sono); manca solo il fiammifero, che è in mano a chi comanda ma non riesce ad accenderlo perché troppi soffiano contro non appena ci prova.
E chi soffia non siete solo voi, egregi sinistrorsi generosi con i soldi altrui, ma anche altri poteri ben più forti con cui, ironia della sorte, non avete il minimo feeling: le gerarchie ecclesiastiche, la mafia, un' imprenditoria disinvolta con il fisco (che lucra sui vantaggi dell'immigrazione extracomunitaria scaricando sul cittadino gli svantaggi), i movimenti razzisti che, dalle paure dei cittadini, traggono vantaggio in termini di voti (leghisti, dico a voi: piantatela di berciare che la sinistra difende i "bingobongo" perchè le porterebbero voti. In primo luogo i "bingobongo" non hanno diritto al voto e poi la maggioranza di loro non saprebbe tracciare una croce su una scheda al posto giusto; manco noi italiani riusciamo a capire la nostra politica, figuriamoci loro!)
Ma in fondo, obietterebbe il nostro sant'uomo, sono solo dei poveracci spinti dall'indigenza. D'accordo reverendo, anche i piranhas di cui sopra vorrebbero mangiare un tizio solo perché hanno fame, ma ciò non vuol dire che il tizio non debba difendersi.
Dunque niente crociate, niente razzismi, niente ronde che non servono a un beato piffero, ma semplice applicazione della legge esistente: tutt'al più si può perfezionare, e subito, la legge esistente nel senso d'agevolarne l'appicazione rigorosa ed evitare interpretazioni troppo garantiste della medesima.

venerdì 26 ottobre 2007

Assioma

Condizione necessaria per potersi definire democratici è l'essere anticomunisti e (non e/o) antifascisti. Ribadisco che questa è condizione solo necessaria ma non sufficiente, sennò si potrebbero definire democratici anche Hitler e Stalin.
Chi ha orecchie...

Tragica contabilità

Durata del regime nazista (1932/1945): 13 anni
Durata del regime comunista (1917/1991): 74 anni
Morti a causa del regime nazista (che fu poi una forma meno ipocrita di liberismo selvaggio, ideologia tutt’oggi imperversante): circa 50 milioni tra deportati nei lager, soldati di tutte le nazioni coinvolte nel conflitto, morti civili a causa del conflitto, morti per le inevitabili “rese di conti” durante e dopo la guerra, partigiani, persone decedute a causa di persecuzioni, arresti, torture, carcerazioni, ecc. operate dai nazisti (e trascuriamo i morti imputabili agli altri fascismi, ossia ai vari Mussolini, Franco, Pavelic, Tiso, Laval, dittatori e dittatorelli latinoamericani, colonnelli greci, a suo tempo lo stesso Saddam e simile feccia)
Orbene, se dividiamo 50 milioni per 13 anni fa circa 3,5 milioni di morti /anno, il che significa che, per ottenere una simile media annuale, i comunisti avrebbero dovuto far fuori circa 285 milioni di persone. Aggiungiamo pure i morti imputabili ad altri sistemi comunisti: castrismo, maoismo, titoismo, Kmer rossi e simile altra feccia; siamo comunque ben lontani dalla cifra sopra riportata (anche prendendo per buoni i 100 milioni sventolati dalla propaganda berlusconista).
Secondo quanto dimostra l’arido linguaggio dei numeri, i regimi nati, sostenuti, foraggiati, armati grazie ai capitalismi di tutte le risme, nazionali o transnazionali o sopranazionali o multinazionali, battono di gran lunga, in fatto di morti ammazzati e sul piano strettamente numerico, i regimi nati da un ideale destinato fatalmente a non realizzarsi perché non tiene conto dell’umana natura.
Si potrebbe dunque concludere che i capitalisti sono “più cattivi” dei comunisti?... Mah, meglio lasciare ai posteri l’ardua sentenza, perché troppe ferite sanguinano ancora e sanguineranno per chissà quanto; oltretutto, a questo punto, usciamo dal campo aritmetico ed entriamo in quello morale.

Una definizione di razzismo

Il razzismo è la superbia dei pezzenti.

Ancora sulle foibe

Le ragioni del velo di silenzio circa le sorti delle popolazioni istria­ne nell'immediato dopoguerra furono numerose.
Per buona parte della sinistra gli esuli erano una quinta colonna fascista in terra slava e non meritavano pietà.
Per il governo l'Istria era motivo d' imbarazzo. Se appariva lecito rivendicare Trieste, dove la grande mag­gioranza della popolazione era italiana, era d'altronde chiaro che nessuno, in Europa e negli Stati Uniti, avrebbe aiutato l'Italia a modificare i confini creati dalla Seconda guerra mondia­le.
Inoltre, qualora il ricordo delle foi­be e dell'esodo fosse stato rinfocolato, il governo avrebbe incoraggiato i sopravvissuti a manifestare i loro senti­menti e avrebbe dovuto appoggiare la loro causa. De resto anche il governo tede­sco - dove gli esuli (fra i dodici e i quindici milioni) rappresentavano un formidabile fattore elettorale - dette prova di grande pruden­za in materia. Nessun politico at­tizza il fuoco della protesta se teme che le fiamme, alla fine, possano bruciargli le natiche.
Ma c'è un'al­tra ragione. Se avesse ufficialmente "sponsorizzato" la causa degli esu­li, il governo non avrebbe potu­to limitarsi a denunciare le atrocità di cui era­no stati vittime ma avrebbe dovu­to agire di conseguenza, pro­muovendo commissioni inter­nazionali d'inchiesta e azioni giudiziarie. Prima o poi, in altri termini, si sarebbe dovuto chiedere ufficialmente alla Jugoslavia di consegnare a noi, o a una autorità sovranazionale, i responsabili di quelle atrocità. Per contro siffatte richieste avrebbero - a loro volta - indotto la Jugoslavia a chiederci di consegnarle i nostri criminali di guerra, i fascisti che nel 1941, senza giustificato motivo, invasero (in combutta con i nazisti) uno stato sovrano il quale, oltretutto, all'epoca dell'invasione, non costituiva nemmeno una spina comunista nel fianco dell'Italia fascista.
Chiaramente nessun politico italiano con la testa sulle spalle era disposto, nell'immediato dopoguerra, a pren­dere in considerazione iniziative del genere.
Non va inoltre dimenticato quali fossero il cli­ma e la ferocia delle molte guerre combattute in Jugoslavia fra il 1941 e il 1945: partigiani comunisti con­tro tedeschi e italiani, «titini» contro «cetnici» del generale Mihailovic, serbi contro croa­ti, SS bosniache contro formazioni comuniste. Certo, noi fummo gli invasori e la nostra responsabilità politica nei confronti della Jugoslavia è innegabile tuttavia il modo di fare guerra fu tipicamente "balcanico" per cui la crudeltà toccò vette inaudite, peraltro usuali in quelle terre (come fatti più recenti hanno ampiamente dimostrato).
Oggigiorno è facile, dopo tanti anni, trinciare giudizi dal­l'alto della nostra presunta "superiorità mo­rale". Ma chiunque avesse osservato tali vicende con mente non ottenebrata dalla faziosità avrebbe capito quanto sia arduo districare, nel caos d'una terribile guerra civile, le colpe degli uni da quelle de­gli altri.
Fece bene, quindi, il governo italiano dell'epoca a ignorare la trista vicenda perché parlarne avrebbe significato suscitare reazioni le quali avrebbero inevitabilmente fatto emergere le atrocità di cui anche l'Italia si macchiò. Le priorità del Paese allora erano altre: la ricostruzione non solo materiale ma anche morale, la riconciliazione nazionale, la creazione di uno Stato su nuove basi democratiche, l’integrazione europea.
Tutte cose che, certi fascistelli di buona famiglia cresciuti a caviale, champagne e lettura de "Il Borghese" continuano a non capire in quanto antropologicamente inidonei.
A proposito di fascistelli, se ben ricordo, un noto esponente della destra, durante uno dei suoi innumerabili interventi televisivi ebbe a farfugliare qualcosa circa le foibe (non ricordo esattamente cosa: le parole del personaggio non meritano mai soverchia attenzione), argomento che, assicurò, presto sarebbe stato portato a conoscenza della cittadinanza.
Trattandosi di personaggio pubblico e palesemente voglioso di visibilità (non per nulla appare in tivvù quasi quotidianamente sebbene le sue sparate lascino indifferenti perfino quelli della sua fazione) vien da pensare che il Nostro pensasse, per questa via, di "scatenare un'ondata di sdegno" acquistandone ulteriore visibilità.
Il Nostro fu accontentato: infatti, sulle foibe, la tivvù mandò in onda una fiction nella quale - sarebbe tutta da da ridere se non ci fosse da piangere - i partigiani comunisti non furono neppure rappresentati troppo male.
Ma non è tutto: fu addirittura istituita un'apposita "giornata della memoria" che viene tuttora celebrata nell'indifferenza generale.
Quindi il Nostro perpetrò, paradossalmente, un ennesimo oltraggio nei confronti di quei poveretti, della cui morte fu primo responsabile un regime che il Nostro rinnega solo a parole (e a volte nemmeno a parole).
Adesso il Nostro non parla più di foibe e me ne compiaccio: evidentemente, dopo tanti anni che ne fa, la politica comincia a insegnargli qualcosa.
Riposate in pace, vittime delle foibe, voi ormai siete superiori a queste miserie!

La ricchezza e la sua ostentazione

Mi chiedo quanta meno gente inseguirebbe il sogno della ricchezza qualora se ne vietasse l’ostentazione.

Povera sinistra!

Povera sinistra, tradita proprio da quelle masse subalterne che avrebbe inteso riscattare! Povere masse subalterne che, deluse dalla sinistra, sperano in un riscatto da parte di quella destra che le ha oppresse e che le opprimerà sempre!

Una semplice regola

Le leggi sono fatte per essere violate, purché chi lo fa abbia una buona ragione per farlo e purché lo faccia a viso aperto e assumendosene la responsabilità: solo così potrà vincere, altrimenti è solo un quaquaraquà.

giovedì 25 ottobre 2007

A proposito di leggi "ad personam" eccetera

Quelli dell'attuale opposiozione in passato starnazzarono (cosa che peraltro riesce loro benissimo) contro le famigerate leggi "ad Personam" e il conflitto d'interessi.
A questo punto debbo confessarlo: ho votato per loro. Non dico "purtroppo" perché, quando vedo le facce di certi personaggi della maggioranza mi rallegro che la televisione "smell-o-vision" non sia stata ancora inventata; per cui, se e quando tornerò a votare, asseconderò la mia malsana propensione a star dalla parte dei perdenti.
Tornando a noi: uno dei motivi per cui espressi tale voto anche nelle politiche 2006 fu la speranza che certe leggi (a mio parere indecenti) fossero prontamente cassate ma, tra tante altre cose, quelli "di sinistra" non hanno fatto manco questa.
Chiaramente la cosa ha suscitato la mia contrarietà.
Vuoi vedere - mi sono detto - che, grazie alla competenza dei suoi avvocati/legislatori (tutti bravi professionisti comunque la si pensi), quella volpe del Cavaliere ha promulgato leggi che facevano sì comodo a lui ma che avrebbero potuto tornare utili anche agli avversari se per caso fossero andati al potere? Tanto utili da non osare cancellarle?
Per la serie: "A pensar male..." con quel che segue.

Un parere sull'America d'oggi

Non sono mai stato negli States, né m'interessa andarvi in quanto ritengo che qualche migliaio di chilometri quadrati della nostra vecchia Europa sia più interessante di tutti gli States.
Orbene, senza l'intenzione d'offendere chicchessia e fatta eccezione per le bellezze naturali più qualche isola felice coincidente con alcune aree metropolitane, ritengo gli States un'accozzaglia di posti squallidi, abitati da un sacco di gente squallida, obesa, armata fino ai denti, ignorante, nevrotica e frustrata, che conduce una vita squallida, mangia cibi immangiabili e s'illude di vivere nel migliore dei mondi. Altro che "American dream", oggigiorno mi parrebbe più sensato parlare di "American nightmare"!
Nossignori, come patriota europeo lasciatemi preferire il vecchio continente, una terra con tutti i suoi problemi e i suoi difetti ma ancora largamente a misura d'uomo.
Se mi si chiedesse cosa salverei dell'America risponderei senz'altro il cinema e altre forme di "fiction": in questo l'America è tuttora insuperabile però si tenga presente (cito a casaccio) che Ford era d'origine irlandese, Wilder viennese, Lang tedesco; Spielberg è ebreo e Scorsese italiano (sempre per quanto riguarda l'origine).
A questo punto mi pacerebbe sapere quanti autentici WASP hanno meritato e meritano menzione negli annali del cinema yankee.
Per tacere delle miriadi d'eccezionali attori che Hollywood ha proposto a generazioni di cinefili come il sottoscritto.
Del resto non potrei pensarla diversamente perché è stato proprio grazie alla rappresentazione cinematografica dell'"american way of life" che sono giunto al giudizio sopra esposto. Ma già, potrebbero obiettare i conservatori yankee, i cinematografari di Hollywood sono quasi tutti comunisti come l'illuminato senatore Mac Carthy dimostrò.
A qusto punto qualcuno potrebbe pensare che il mio è il solito antiamericanismo di stampo prettamente sinistroide ma sbaglierebbero perché un giudizio sulla defunta URSS non sarebbe troppo diverso da quello formulato sugli USA (inoltre gli infelici cittadini sovietici, oltre a essere molto al disotto degli americani per quanto riguarda il benessere crassamente materiale, non potevano comprare armi come fossero noccioline sennò il regime sarebbe collassato molto prima... altro che "paradiso del proletariato" con quel che segue).
Il mio, invece, è un antiamericanismo da nazionalista filoeuropeo, è l'antiamericanismo di chi auspica che il suo amato continente si ponga allo stesso livello degli USA senza rinnegare i principi che ispirarono i trattati di Roma.
Ma v'è di più: anche se spera di prendere uno stratosferico granchio e nonostante il presidente Obama, il sottoscritto ritiene che, nel cuore profondo degli States, vadano maturando condizioni favorevoli all'instaurazione d'una dittatura paranazista, motivo di più per consolidare quest'ancor fragile costruzione che si chiama UE.
Coimunque la vada, ritengo pericolosa la presenza d'un unico e tanto invadente polo di potere, anche perché potrebbe suscitare il sorgere d'altri poli non meno invadenti e i segni ci sono già tutti.
Per questo ritengo un autentico tradimento della causa europea difendere acriticamente gli States e ritenere il filoamericanismo dogma inviolabile.
L'obbligo di parlar bene dell'America non è ancora legge dello stato, grazie a Dio!

Uguali diritti a tutti? No, grazie

Voltaire si dichiarava pronto a battersi per difendere il diritto di chiunque a esprimere le proprie idee anche se erano diametralmente opposte alle sue.
Parole sacrosante ma, a proposito di diritti, reputo da vigliacchi difendere i diritti di chi non è disposto a riconoscermi gli stessi diritti che chiede.
Troppo involuto? Semplifico con un esempio.
Se un fascista (ne esistono ancora, eccome, soprattutto in Italia) o un comunista (ne esistono ancora?) o un islamico integralista (pochi ma micidiali) o un cattolico tradizionalista (il quale, più che al messaggio di Cristo, dia retta alla pretaglia turibolante e bivaccante in Vaticano) venisse a dirmi: "In base ai tuoi principi devi lasciarmi parlare liberamente però io, in base ai miei principi, ti nego questo diritto" risponderei "Col c**** ti lascio parlare liberamente!".
Poi gli sparerei in bocca e - se riuscissi a rimediare una "Glock" con relative munizioni - non solo in senso figurato .
Morale della favola: la democrazia è sacrosanta ma qualche volta anche noi democratici dobbiamo incazzarci.

mercoledì 24 ottobre 2007

Nel quarantennale del Che

Ricordo che, nel 1987, ventennale della morte di Che Guevara, anche parecchi esponenti della destra d'allora (altri tempi!) espressero giudizi positivi sulla figura del Comandante; non ho difficoltà a riconoscere la buona fede di tali giudizi perché alcuni aspetti della figura erano apprezzati anche a destra: l'amore per la sfida e l'avventura, un certo velleitarismo eroico, la voglia di fare, il populismo rivoluzionario, eccetera.
Oggigiorno, a destra, niente di tutto ciò.
La destra d'oggigiorno è una destra permeata di neofascismo forse più d'allora, eppure anarcoide.
E' una destra superficiale, bugiarda, caciarona, egoista, pacchiana, pescivendola, avida, grossolana, consumista e scalzacani a un tempo, priva del minimo senso dello stato, della responsabilità, dell'onore.
E' la destra dei SUV neri pagati impegnandosi anche la camicia, dei "lounge bar" frequentati da fichetti dall'incerto mestiere e da smutandate aspiranti letterine, dei fascistelli da discoteca strafatti di coca, delle autoreggenti, della curva sud, dei tacchi a spillo, del vuoto morale, intellettuale e cerebrale.
E' la destra che vorrebbe apparire gioiosa e brillante e accusa la sinistra di musoneria mentre in realtà è infelice, malmostosa e frustrata perché, al di là del suo insaziabile arrivismo, c'è il nulla.
E' la destra della battutaccia veterogoliardica, dell'invettiva da "Bar Sport", dell'acrimonia gabellata per satira, di chi non sa, per motivi genetici, cosa significhi "ironico distacco".
Quando si parla del Comandante, questa destra si limita a inveire contro i ragazzini con la maglietta del Che (i quali manco sanno chi fosse ma fa tanto trendy), a vomitare insulti e calunnie contro un morto, a invelenirsi per il fatto che il Comandante gode ancora d'una certa popolarità e non si pone una domanda facile facile (anche perché loro domande non se ne pongono, loro hanno solo certezze... sì, quelle del loro Capataz).
"Perché il Comandante gode ancora di questa popolarità?"
E vabbe', poveretti, diamo loro una mano.
La risposta è semplice, ma loro non ci arrivano, non ce la possono fare: "perché il Comandante, per molti (anche per chi non condivise la sua ideologia), incarna un sentimento che voi non sapete manco dove stia di casa, la generosità fino al sacrificio di sé stesso."
Fu vera generosità o solo smodata ambizione condita con una buona dose di sterile donchisciottismo e d'insensata violenza?
Conta poco, il fatto è che il mito resiste ed è difficile da sfatare.
Però sono generoso anch'io e voglio dare loro un suggerimento.
Invece di ragliare invettive ai quattro venti, quando si parla di Che Guevara quei destrorsi da salotto buono dicano semplicemente:
"La fortuna del Comandante, ragazzi, fu quella di morire giovane, carismatico e bello [loro che badano tanto all'immagine almeno questo lo dovrebbero capire]. Se non l'avessero accoppato si sarebbe fatto un po' di galera in qualche carcere boliviano circondato dall' affettuosa attenzione dei media, poi, in seguito a trattative più o meno chiare, sarebbe stato rilasciato e se ne sarebbe rientrato a Cuba dove adesso sarebbe un anziano gerarca mantenuto dal regime, tronfio, imbolsito, dimenticato; oppure sarebbe tornato in Argentina dove avrebbe aperto uno studio dentistico e, con ogni probabilità, avrebbe gettato alle ortiche il marxismo e lavorerebbe in nero."