martedì 25 dicembre 2007

Piccolo battibecco con Pietro Ostellino

Lettera da me scritta a Pietro Ostellino
(ex direttore del "Corriere della Sera", nonché autorevole opinionista).
Caro Ostellino,
nei Suoi ultimi articoli m’è parso ravvisare una sorta di “furor" antidirigista che, onestamente, mi pare un tantino fuori luogo.
Premetto che, a mio ingenuo avviso, liberalismo (in senso economico) significa poter “fare impresa” senz’altri vincoli eccetto quelli derivanti dalla tutela degli interessi generali rispetto a quelli “particulari” e che tale tutela spetti alla legge liberamente votata dai cittadini e/o dai loro rappresentanti.
Un banalissimo esempio chiarisce il mio umile punto di vista: l’Italia (poteva essere altrimenti?) fu buona ultima nell’imporre la data di scadenza sui prodotti alimentari; ovviamente un simile provvedimento va contro l’interesse “particulare” del casolino, che si vede costretto a buttare la merce scaduta (?) con conseguente danno pecuniario, ma tutela l’interesse generale del consumatore, che non rischia di finire all’ospedale per intossicazione, forse.
Ordunque, mio dotto Destinatario, ben rammento che, nella Jugoslavia titina (la Jugoslavia titina? I comunisti? Le foibe? Vade retro Satana!!!), tale normativa era già applicata trent’anni prima che nel nostro paese, eppure nemmeno il più becero anticomunista d’allora si sognò mai d’appigliarsi a questo motivo (ad altri più fondati motivi si) per vituperare il caudillo balcanico e additarlo a esempio di miope dirigismo comunista.
Da liberale “storico”, quale molto umilmente mi ritengo (il che non equivale affatto a ritenermi liberista ché, secondo me, tra le desinenze “-ale” e “-ista” v'è un baratro e la comune radice “liber-” ha la funzione di gabbare i “pauperes spiritu”), mi pare che, quando il “particulare” fa aggio sul generale (aggettivo), si producono piaghe sociali difficilmente ricatrizzabili e, a quanto vedo, i fatti sembrano darmi ragione: infatti oggigiorno (massimamente tra il 2001 e il 2006, guarda caso) il consumatore è letteralmente assediato da sciami d’“imprenditori” il cui obiettivo sembra essere, sempre e soltanto, quello di turlupinare il proprio prossimo, anziché di “fare impresa”, e le leggi vigenti consentono di tutelarsi poco e male contro siffatti ribaldi.
Almeno questa è la realtà in cui vivo io, non so Lei (A proposito, Ella sa quanto costa un litro di latte?)
Conosco già l’obiezione, mio paziente Destinatario: “È perché non ci s’affida abbastanza al mercato: aspettate e lasciate fare al MERCATO; la mitica età dell’Acquario tornerà per renderci tutti felici e contenti!”
Quasi il Mercato fosse un genio dispensatore di benessere, pace e giustizia... Mah?
In tutta franchezza e “mutatis mutandis”, questo modo di pensare mi rammenta quello di taluni veterocomunisti tignosi che, anche oggigiorno, vedono nel “Sol dell’Avvenir” una sorta di Soluzione Finale e, quando si parla di soluzioni finali, si sa come si comincia ma non si sa come finisca, sicuramente male.
In conclusione, anche nella fattispecie dovrebbe valere il principio (ahinoi, ormai obsoleto) “In medio stat virtus”, ma tant’é...
Le auguro ogni bene per le prossime festività.
Risposta di Ostellino
Ahimè, temo che in poche righe lei sia riuscito a dire un mare di sciocchezze. Imporre la data di scadenza dei prodotti non c'entra né col mercato, nè col liberalismo, nè col dirigismo. E' una misura di salute pubblica che si può (si deve) applicare con una legge ordinaria. Quindi, bene che sia stata imposta.
La distinzione fra liberalismo e liberismo c'è solo nella lingua italiana ed è sbagliata: fra le libertà (al plurale) del liberalismo c'è anche la libertà economica. Che non significa affatto arbitrio del privato, bensì solo che lo Stato deve creare le condizioni in base alle quali ciascuno persegue il proprio interesse privato a condizione di non impedire agli altri di fare altrettanto.
Esempio: la libertà di mercato, il diritto di proprietà devono essere garantiti senza condizioni ideologiche (come è scritto invece nella nostra Costituzione, un compromesso fra il costruttivismo sovietico e il costituzionalismo liberale dell'epoca: art. 41 che condiziona l'iniziativa economica all'utilità sociale; art. 42 che condiziona la proprietà privata alla funzione sociale, eccetera), ma regolate da leggi ordinarie. Esempio: con la mia fabbrica non devo affumicare il mio prossimo o inquinare le acque del fiume; con i miei prodotti non lo devo avvelenare, eccetera).
Infine, il perseguimento dell'interesse individuale, così regolato, produce inconsapevolmente un
beneficio pubblico (come dimostra empiricamente la storia - e teoricamente - la cultura liberale, da Mandeville, a Hume, a Smith, fino a Hayek e Popper e confermano tutti i Paesi di cultura liberale, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti).
Fine della lezioncina. Eviti, se possibile, di darne lei, se non ha gli strumenti culturali per darne. Ostellino
Mia controrisposta
Innanzitutto La ringrazio per l'attenzione prestatami e Le significo di non aver preteso, con la mia segnalazione, di darLe alcuna "lezioncina" in quanto riconosco la pochezza dei miei strumenti culturali a fronte della Sua sterminata conoscenza circa politica, economia, lettere, giurisprudenza, sociologia, didattica, storia, geografia, giornalismo, critica, filosofia, eccetera (conoscenza che spero abbia incrementato informandosi sul costo del latte).
Le Sue cognizioni traspaiono non solo dai Suoi articoli ma anche da questa missiva, ch'Ella s'è degnato mandarmi senza tuttavia percepire (forse mi sono spiegato male) che, come detto, non intendevo impartirLe alcuna lezioncina, ma semplicemente esprimere un'opinione circa i contenuti e i toni di alcuni Suoi recenti articoli.
Orbene, mio paziente Destinatario, per esprimere un'opinione, non reputo necessari particolari strumenti culturali, secondo me basta riflettere, informarsi quanto basta, osservare senza preconcetti ed essere pronti a riconoscere che si può anche prendere un abbaglio (infatti solo gli
sciocchi, è noto, non cambiano mai opinione e, aggiungo io, i più sciocchi pretendono pure che sia valida "erga omnes").
Ebbene, non ho difficoltà a riconoscere che la mia opinione era sbagliata o, più esattamente, che non ho afferrato il senso degli articoli summenzionati: infatti la Sua risposta (posso osare?) potrei averla scritta pari pari io, sempreché avessi gli stessi Suoi strumenti culturali.
Io infatti ho modestamente scritto: liberalismo (in senso economico) significa poter "fare impresa" senz'altri vincoli eccetto quelli derivanti dalla tutela degli interessi generali rispetto a quelli "particulari" e che tale tutela spetti alla legge liberamente votata dai cittadini e/o dai loro rappresentanti.
Lei per contro scrive che liberalismo "...non significa affatto arbitrio del privato, bensì solo che lo Stato deve creare le condizioni in base alle quali ciascuno persegue il proprio interesse privato a condizione di non impedire agli altri di fare altrettanto".
Orbene, non riesco a vedere una differenza sostanziale tra queste due frasi (ma forse non posseggo gli indispensabili strumenti culturali): per me tutelare gli interessi generali e ostacolare l'arbitrio del privato sono due finalità identiche.
A questo punto sono amareggiato, non solo perché Ella non avrà il tempo d'illuminarmi come vorrei circa tale differenza, ma perché mi rode un piccolo sospetto, e cioè che Ella non abbia letto con attenzione la mia missiva (ci mancherebbe, ne riceverà a migliaia e questo perché Ella s'ostina a pubblicare il suo indirizzo e-mail sul "Corriere") e tale sospetto è confermato dal tono
"acidulo" che affiora dal Suo pregiato scritto e che (mi consenta) reputo ingiusto: infatti l'unico appunto che ho osato muovere a Lei personalmente nella mia scorsa lettera riguardava, ripeto, quel certo "furor".
Le altre mie considerazioni potevano essere magari sbagliate, ma investivano tematiche di carattere generale ed erano dettate da personali esperienze quotidiane che, giustamente, a Lei possono benissimo non interessare.
Comunque, se Ella ha letto in quelle considerazioni una lezioncina rivolta a Lei, vuol dire che non sono stato chiaro, e lo ribadisco per l'ennesima volta.
Caso mai la lezioncina la rivolgerei a certi personaggi sbucati come funghi particolarmente tra il 2001 e il 2006 e chioserei la lezioncina con un "NON CI CASCO!", magari ripetuto tre volte in segno di solidarietà con quanto proclamò il Presidente Emerito Scalfaro, continuamente e indegnamente calunniato da una banda di farisei (ma non divaghiamo e, soprattutto, non offendiamo i farisei).
Per concludere, può darsi benissimo che abbia condensato un mare di sciocchezze in poche righe e che abbia ripetuto l'errore in queste ulteriori righe. Non me ne può fregare di meno, visto che nel mondo dominato dal liberismo ormai prevale la tendenza a bollare di sciocco o mentitore chi non la pensi come te.
Caso mai me ne compiaccio: evidentemente posseggo un'abilità di cui non ero consapevole ed Ella, che ha gli strumenti culturali idonei a farlo, l'ha evidenziato... Chissà perché ripenso a Guareschi e mi viene in mente un passo in cui il Cristo rimprovera don Camillo, il quale attacca politicamente Peppone facendosi forte del fatto che l'avversario ha solo la terza... Grande Guareschi, tu sì sapevi scrivere, riflettere e far riflettere, ma soprattutto eri un semplice (non un sempliciotto!); per questo tanti, anche non condividendo la tue idee, le rispettano, ti ricordano con nostalgia e apprezzano tuttora i tuoi scritti.
Concludo ringraziandoLa d'avermi dato contezza dei miei limitati strumenti culturali, e mi consolo osservando che sparare affermazioni a dir poco avventate è una cosa che può capitare a tutti: v'è chi ne spara molte e piccole, v'è chi ne spara solo una ogni morte di papa, ma di grosso calibro.
A chi fosse interessato su come andò a finire il battibecco segnalo che Ostellino mi replicò e, se non mi diede ragione (Ci mancherebbe! Uno mostro sacro come lui non può sbagliare!), non mi diede neppure torto e, soprattutto, usò un tono più garbato.

Dal blog di Beppe Grillo

La contraddizione di un Paese ossessionato dal miraggio della ricchezza facile e senza soldi dove ci porterà?
La gente non si rassegna ad essere povera, se non può essere ricca, deve almeno far finta. L’apparenza del nulla costruita sui debiti.
Questa riflessione non è farina del mio sacco ma la sottoscrivo in toto come pensierino finale del giorno di Natale del 2007.
Possa il 2008 donare un po' d'intelletto ai tanti mentecatti italici (non sono nati tali ma sono stati resi tali da un sistema indecente) spinti ad agire solo da quanto si trova al disotto del girocollo.

giovedì 13 dicembre 2007

Pubblicato da Mezzotoscano sul blog di B. Grillo il giorno 131207

E' un circolo vizioso: l'Italia ha un debito pubblico tra i più pesanti, per ridurlo occorrerebbero misure impopolari, per rendere accettabili tali misure bisognerebbe che la Casta, subito, rinunciasse a tutti, proprio tutti, i suoi privilegi, ma questo non intende farlo anche perché la Casta non si sente responsabile del debito e, paradossalmente, un po' di ragione la Casta ce l'ha. Infatti consideriamo un attimo in che periodo storico il debito pubblico ha subito una brusca impennata per non ridiscendere mai più: conti alla mano esso coincide (quando si dice il caso...) con il periodo in cui l'Italia era governata da un certo signore che poi, giustamente condannato, riparò ad Hammamet ove, successivamente, passò a miglior vita.
Tra l'altro mi pare sia lo stesso periodo in cui la Casta cominciò ad accumulare privilegi sempre più odiosi.
Non è nel mio stile infierire su chi riposa il sonno eterno però un fatto mi sconcerta: quasi tutti i politici d'oggigiorno continuano a esprimere giudizi positivi circa l'illustre defunto e si guardano bene dall'accennare alla strana coincidenza.
Chiaro che, stando così le cose, il sistema-paese non potrà mai andare meglio

martedì 4 dicembre 2007

Altre precisazioni circa le mie scelte politiche

In quasi cinquant'anni d'esercizio del mio diritto di voto ho cambiato spesso le mie scelte: ad esempio ho votato PLI (quando i liberali erano pochi e, soprattutto, erano veri liberali), Diccì (turandomi ovviamente il naso), MSI (non per particolari nostalgie, ma perché, all’epoca, quando sembrava che l’Italia fosse destinata a finire nelle grinfie dei “rossi”, ritenni si dovesse mandare un segnale forte) e persino Lega (nella quale credetti di ravvisare, sbagliando platealmente, un movimento in grado di dare una spallata all’infausto partito trasversale delle poltrone).
Sono dunque un voltagabbana? Non credo, perché il vero, autentico, voltagabbana lo è per tornaconto personale e prende parte attiva al teatrino della politica; a me invece tale teatrino ha sempre dato il voltastomaco e mi sono limitato a votare, di volta in volta, a seconda delle circostanze e senza ricavarne vantaggi personali di sorta.
Forse la verità è che le mie idee sono rimaste sostanzialmente le medesime ed è stata la politica a cambiare.
Oggi come oggi (anche perché la sola idea di solidarizzare con certi "anticomunisti" dichiarati suscita in me il più vivo ribrezzo) resta solo un punto fermo: “Sono sempre stato anticomunista. Morto il comunismo, non lo sono più”, per usare una frase di Giovanni Sartori.
Passando dalle meschinità dell’italica situazione a una visione più generale, rilevo come la socialdemocrazia, in numerose realtà, abbia dimostrato equilibrio ed efficienza nel risolvere senza traumi numerosi problemi sociali, merito anche della forte aliquota di liberalismo che contiene al suo interno.
In altri termini, nella dottrina socialdemocratica io ravviso un liberalismo più "welfare oriented", per cui (al di là delle italiche contingenze che, come chiunque ha agio di constatare, portano spesso a laceranti dicotomie) sono parecchio in sintonia con i veri liberali, così come lo furono il vecchio PSDI e il vecchio PLI quando si trattò di ricostruire l’Italia, mentre, nel ventre della vecchia “Balena Bianca”, le due anime convissero (con benedizione vaticana) per decenni e, tra difficoltà, contrasti, inciuci e papocchi, guidarono il Paese verso una prosperità che mai aveva conosciuto.
Poi venne Craxi... ma questo è un altro discorso.
In ogni caso, quando considero la grande tradizione scandinava, mi viene da pensare (parafrasando Brecht) “Felici quei paesi che non hanno bisogno di benefattori”.
Concludo con un’osservazione in merito: dovremmo, tutti, smetterla di sparare scemenze tipo “Già, ma quelli sono svedesi”; questa voluttà d'autodenigrazione (che, in fondo, è solo voglia d’autoassoluzione e deresponsabilizzazione) tipica di noi italiani non porta a nulla di buono.
Già da più parti sento affermare desolatamente: “Già, ma quelli sono cinesi”.
Dove andremo a finire? Non vorrei si giungesse a dire “Già, ma quelli sono zulù” (con tutto il rispetto per gli zulù, popolo ardimentoso e battagliero, s’intende).