martedì 4 dicembre 2007

Altre precisazioni circa le mie scelte politiche

In quasi cinquant'anni d'esercizio del mio diritto di voto ho cambiato spesso le mie scelte: ad esempio ho votato PLI (quando i liberali erano pochi e, soprattutto, erano veri liberali), Diccì (turandomi ovviamente il naso), MSI (non per particolari nostalgie, ma perché, all’epoca, quando sembrava che l’Italia fosse destinata a finire nelle grinfie dei “rossi”, ritenni si dovesse mandare un segnale forte) e persino Lega (nella quale credetti di ravvisare, sbagliando platealmente, un movimento in grado di dare una spallata all’infausto partito trasversale delle poltrone).
Sono dunque un voltagabbana? Non credo, perché il vero, autentico, voltagabbana lo è per tornaconto personale e prende parte attiva al teatrino della politica; a me invece tale teatrino ha sempre dato il voltastomaco e mi sono limitato a votare, di volta in volta, a seconda delle circostanze e senza ricavarne vantaggi personali di sorta.
Forse la verità è che le mie idee sono rimaste sostanzialmente le medesime ed è stata la politica a cambiare.
Oggi come oggi (anche perché la sola idea di solidarizzare con certi "anticomunisti" dichiarati suscita in me il più vivo ribrezzo) resta solo un punto fermo: “Sono sempre stato anticomunista. Morto il comunismo, non lo sono più”, per usare una frase di Giovanni Sartori.
Passando dalle meschinità dell’italica situazione a una visione più generale, rilevo come la socialdemocrazia, in numerose realtà, abbia dimostrato equilibrio ed efficienza nel risolvere senza traumi numerosi problemi sociali, merito anche della forte aliquota di liberalismo che contiene al suo interno.
In altri termini, nella dottrina socialdemocratica io ravviso un liberalismo più "welfare oriented", per cui (al di là delle italiche contingenze che, come chiunque ha agio di constatare, portano spesso a laceranti dicotomie) sono parecchio in sintonia con i veri liberali, così come lo furono il vecchio PSDI e il vecchio PLI quando si trattò di ricostruire l’Italia, mentre, nel ventre della vecchia “Balena Bianca”, le due anime convissero (con benedizione vaticana) per decenni e, tra difficoltà, contrasti, inciuci e papocchi, guidarono il Paese verso una prosperità che mai aveva conosciuto.
Poi venne Craxi... ma questo è un altro discorso.
In ogni caso, quando considero la grande tradizione scandinava, mi viene da pensare (parafrasando Brecht) “Felici quei paesi che non hanno bisogno di benefattori”.
Concludo con un’osservazione in merito: dovremmo, tutti, smetterla di sparare scemenze tipo “Già, ma quelli sono svedesi”; questa voluttà d'autodenigrazione (che, in fondo, è solo voglia d’autoassoluzione e deresponsabilizzazione) tipica di noi italiani non porta a nulla di buono.
Già da più parti sento affermare desolatamente: “Già, ma quelli sono cinesi”.
Dove andremo a finire? Non vorrei si giungesse a dire “Già, ma quelli sono zulù” (con tutto il rispetto per gli zulù, popolo ardimentoso e battagliero, s’intende).

Nessun commento: