mercoledì 28 maggio 2008

Così scrisse Togliatti nel 1936

Noi abbiamo ragione di inorgoglirci della nostra patria.
Questa Italia bella, queste ricchezze sono il frutto dei lavoro dei nostri operai, dei nostri braccianti, dei nostri contadini, dei nostri ingegneri, dei nostri tecnici, del genio della nostra gente.
Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori; camicie nere ed ex combattenti e volontari d'Africa, vi chiediamo di lottare uniti per la realizzazione di questo programma (...)
Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi, fascisti della vecchia guardia e giovani fascísti, per la realizzazione del programma fascista del 1919 e per ogni rivendicazione che esprima un interesse immediato, particolare o generale dei lavoratori e del popolo italiano. Diamoci la mano, fascisti e comunisti, cattolici e socialisti, uomini di tutte le opinioni.
Diamoci la mano e marciamo fianco a fianco per strappare il diritto di essere dei cittadini di un Paese civile qual'è il nostro. Soffriamo le stesse pene, abbiamo la stessa ambizione: quella di fare l'Italia forte, libera e felice.

domenica 25 maggio 2008

A proposito di vetture ibride

Premetto che questa, più che un’invenzione vera e propria, vuole essere una riflessione riguardante dispositivi già esistenti e sperimentati, senza successo, su autovetture.
Seguo tuttora con un certo interesse il mercato dell’auto e mi capita spesso di pensare che l’attuale offerta (al di là d’una certa "esagerazione" in fatto di meccanica e d’ingombri e d’un eccesso di gadgets elettronici) non presenti innovazioni tecniche di rilievo, se si eccettuano le cosiddette “vetture ibride”, tuttavia, anche in questa innovazione, ravviso incongruenze che potrebbero pregiudicare il successo d’una proposta che, ribadisco, ritengo assai interessante.
In primo luogo la vettura ibrida è, per l’appunto... ibrida, funziona cioè grazie alla sinergia tra un motore a combustione interna e uno o più motori elettrici alimentati da accumulatori ricaricati dal primo e con esso “collaboranti”.
Orbene, la gestione di questo sistema è affidata, oltreché a complessi sistemi di trasmissione, a un’elettronica assai sofisticata con tutte le conseguenze del caso; non per nulla circolano numerose “leggende (?) metropolitane” circa le amarezze cagionate all’utente dall’eccesso di elettronica applicata all’autotrazione per cui non pochi utenti gradirebbero un ritorno a una maggiore “semplicità”.
La mia riflessione a riguardo è la seguente: almeno per vetture economiche la trazione andrebbe affidata esclusivamente al motore elettrico e il motore a combustione interna andrebbe usato esclusivamente per la ricarica degli accumulatori, regolandolo su un numero di giri costante e tale da garantire rendimento ottimale, basso consumo ed emissioni minime. Un siffatto sistema non richiede né hardware né software, né sistemi di trasmissione troppo sofisticati.
In secondo luogo sottolineo l’uso del termine “a combustione interna”, anziché del termine “a scoppio”. Tale uso non è casuale, infatti mi chiedo: possibile che, tra tante “meraviglie” tecnologiche, alla fin fine tutto debba dipendere da un marchingegno ideato un secolo e mezzo fa? Un marchingegno meccanicamente complesso in quanto deputato a trasformare un moto rettilineo in moto rotatorio (fatto che, già di per sé, comporta notevoli attriti)? Un marchingegno che, per funzionare, necessita di complessi sistemi di lubrificazione, di raffreddamento, d’alimentazione, di distribuzione, d’iniezione, di filtraggio, di silenziamento, di tenuta e via dicendo? Un marchingegno intrinsecamente rumoroso (mi perdonino i fans del “ruggito” di certe vetture) e fonte di vibrazioni solo parzialmente eliminabili? Un marchingegno per il quale, anche da un punto di vista “semantico”, viene usata una terminologia che fa pensare a un qualcosa che si autodistrugge? Il termine “scoppio” infatti è spesso sinonimo di “distruzione” e, in fondo, comunque la si metta, un motore a scoppio tende un po’ ad autodistruggersi a ogni combustione: è proprio della sua struttura e del suo funzionamento.
Sulla base di quanto esposto ecco dunque la mia seconda riflessione: un motore rotativo non presenta molti dei problemi tipici del motore alternativo. Un motore elettrico, per esempio, ha l’unico punto meccanicamente critico nei cuscinetti però, per evitare guai, è sufficiente curarne la lubrificazione (molto più elementare che in un motore a scoppio) e, comunque, la sostituzione è semplice.
Tuttavia la trazione elettrica non consente sufficiente autonomia, da qui la necessità d’un motore a combustione interna per la ricarica degli accumulatori.
E questo è il punto cui volevo arrivare: per la ricarica non si potrebbe utilizzare una turbina a gas?
Tale dispositivo, in passato, fu sperimentato come motrice per autoveicoli e rammento che la FIAT, nei primi anni 50, realizzò una vettura sperimentale a turbina. La cosa non ebbe seguito, in quanto la turbina a gas è caratterizzata da un comportamento ancor meno “elastico” del motore alternativo, tanto da renderla poco compatibile con le esigenze dell’autotrazione.
Ma, ecco il nocciolo della questione, il motore elettrico possiede quell’”elasticità” di cui, appunto, è carente il turbogas, il cui impiego dovrebbe limitarsi alla ricarica degli accumulatori, sempre, s’intende, regolandolo su un numero di giri costante e tale da garantire rendimento ottimale ed emissioni minime.
Con queste condizioni di funzionamento sarebbe possibile realizzare un’unità relativamente semplice, compatta, poco rumorosa, di facile gestione e manutenzione e in grado, con opportuni accorgimenti, d’usare un’ampia gamma di combustibili.
Ignoro quali problemi tale tipo di unità porrebbe sul piano produttivo ma un turbogas, strutturalmente, non è molto diverso da un turbocompressore, dispositivo che ormai ha raggiunto alti livelli di affidabilità; del resto, solo un quarto di secolo fa, pochi avrebbero immaginato che tale dispositivo sarebbe stato applicato anche alle utilitarie e a prezzi più che abbordabili, per cui mi chiedo se la tecnologia che ha consentito di diffondere il turbocompressore non potrebbe, con gli opportuni adattamenti, adattarsi anche al turbogas.
Rimarrebbe un problema: la turbina d’un turbogas deve sopportare temperature superiori a quelle presenti in un turbocompressore, da qui l’uso di materiali più resistenti al calore e quindi più costosi; credo tuttavia che un’ampia diffusione del dispositivo consentirebbe di abbattere i costi.

venerdì 23 maggio 2008

Luigi XVI, un grande uomo di stato

Luigi XVI di Francia (il "Re Sole") non fu certamente uno stinco di santo, ma nessuno può negare la sua grandezza come uomo di stato.
Ebbene, proprio perché grande statista, Luigi XIV mai si sognò di elevare al rango di ministro una delle sue (numerosissime) favorite e, come grande statista, passò alla storia.
Morale della favola: chi aspira a passare alla storia dovrebbe evitare, tra le altre cose, di nominare ministri le sue favorite (chiamiamole così...)

giovedì 22 maggio 2008

Franzoni condannata

Dal Televideo di Mediaset del 6 marzo 2003, pag. 118:
Titolo - LA VERITA' E' VICINA
Sottotitolo - Taormina: "Abbiamo nuovi elementi"
A quanto pare l'illustre avvocato Taormina, pronunciando queste lapidarie parole, confidava - a ragione - nella labile memoria degli italiani.

Sindaci sceriffi?

Chiamare "sceriffi" certi sindaci mi pare un controsenso.
Infatti, secondo la classica iconografia western, lo sceriffo era colui che - pronto a morire con il Winchester in pugno pur di far rispettare la legge e l'ordine - affrontava l'orda decisa a linciare il malcapitato di turno.
Mi sia invece consentito di ritenere che, ove se ne presentasse l'opportunità, quei certi "sindaci seceriffi" cui alludo si metterebbero alla testa dell'orda gettando il Winchester e afferrando il cappio.

mercoledì 21 maggio 2008

Vincitori e vinti

"Vincitori e vinti" è un vigoroso film di Stanley Kramer uscito nel 1961, la cui visione è raccomandabile a tutti.
Notizie in materia sono reperibili su Mymovies.it, comunque il film è riproposto con una certa frequenza, peccato che - essendo in b/n - la programmazione a ore decenti sia da escludere.
La pellicola tratta il tema d'un processo immaginario celebrato a Norimberga contro imputati meno "eccellenti" rispetto al processo - per così dire - storico celebrato contro altissimi gerarchi nazisti.
Presidente del tribunale è il giudice americano Dan Haywood (interpretato da Spencer Tracy), mentre uno degli imputati è il giudice tedesco Ernst Janning (interpretato da Burt Lancaster) accusato d'avere emesso sentenze a dir poco "addomesticate".
Janning viene condannato e, a processo concluso, chiede e ottiene un colloquio con Haywood.
Ritengo utile riportare il testo di tale colloquio che si svolge nella cella di Janning.
Haywood - Lei voleva parlarmi?
Janning - C'è qualcosa che vorrei darle: un diario dei miei processi. Vorrei darlo a qualcuno di cui possa fidarmi e che ho imparato a conoscere durante il processo.
H. - Grazie, ne avrò la massima cura.
J. - So quali pressioni sono state fatte su di lei. Lei sarà criticato a non finire, la sua sentenza sarà impopolare ma, se questo può interessarle, lei ha il rispetto di almeno uno degli uomini che ha condannato. In nome di ciò che v'è di giusto al mondo, il suo verdetto è stato giusto.
H. - Grazie. Ciò che lei ha detto in tribunale doveva esser detto.
J. - Giudice Haywood, il motivo per cui le ho chiesto di venire... Tutta quella gente... Milioni di persone... Io non pensavo che si giungesse a tanto. Lei deve credermi, lei deve credermi!
H. - Lei doveva capirlo la prima volta in cui condannò a morte un uomo pur sapendolo innocente.
Mi sia consentito rammentare questo colloquio perché ne ritengo attuale il significato, particolarmente in un periodo storico e in una nazione in cui, da parte di numerosi politicanti, si tenta continuamente di mettere in discussione non solo i giudici in quanto persone (e pertanto fallibili) ma la stessa autonomia del potere giudiziario.
Alcuni dei summenzionati politicanti, addirittura, negano autorità al potere giudiziario adducendo la bizzarra tesi che, non essendo eletti dal popolo, i giudici non sono rappresentativi.
Bella cultura giuridica, nulla da dire, in un paese "culla del diritto"!
A mio avviso dovrebbe essere messa in discussione proprio la rappresentatività di chi - anche se eletto dal popolo - dice simili idiozie.
Infatti non è difficile prevedere quanto devastanti sarebbero le conseguenze se dovesse prevalere la tesi che vorrebbe il potere giudiziario subalterno rispetto a quello politico.
Concludo con un'osservazione più terra-terra: i giudici sono pagati con i soldi di tutti i cittadini e la maggioranza dei cittadini vuole la legge uguale per tutti: di conseguenza, se non vado errato, il signor Guardasigilli dovrebbe limitarsi al ruolo di "notaro" e di tramite imparziale tra potere politico e potere giudiziario.

domenica 18 maggio 2008

Un paradosso

Un paradosso.
Quelli di sinistra gli votano contro perchè hanno capito benissimo di che soggetto si tratta.
Quelli di destra gli votano a favore perché hanno capito benissimo di che soggetto si tratta.
Peraltro, contando anche i voti di chi non ha ottenuto una rappresentanza parlamentare (voti che ci sono anche se ufficialmente si finge d'ignorarli), la realtà è sostanzialmente immutata: l'Italia rimane un paese spaccato a metà tra chi è "pro" e chi è "contro" e penso che gli effetti di tale realtà non tarderanno a manifestarsi secondo un canovaccio già visto.
Nel frattempo LUI sotto sotto tenta di realizzare il suo ennesimo sogno: essere capo del governo e dell'opposizione allo stesso tempo.
Del resto, in materia, LUI ha un'esperienza di tutto rispetto: infatti quando - in passato - ha avuto la maggioranza, più che il capo del governo, ha fatto il capo dell'opposizione all'opposizione.
Inoltre ha fatto i suoi interessi, ma questa è un'altra storia.

sabato 10 maggio 2008

Se lo trovate leggetelo!

I persuasori occulti
di Vance Packard

Nel 1957 il sociologo americano Vance Packard pubblica questo libro, dove analizza i meccanismi che determinano il consenso dell'opinione pubblica grazie alla comunicazione televisiva, soprattutto quella "pubblicitaria" (intesa in senso lato).
I professionisti della comunicazione dunque, in un contesto da "grande fratello", vengono descritti dall’autore come, appunto, "persuasori occulti", perché utilizzano tecniche che tendono a influenzare il "consumatore" agendo sul suo subconscio.
Accanto ai persuasori vengono presentate altre figure: esperti di indagini di mercato, sondaggisti, ecc. ossia coloro che, sempre secondo Packard, hanno il compito di studiare in profondità le aspettative delle persone non solo nei confronti dei "prodotti" ma anche della vita.
Le "profezie" contenute nel libro si sono purtroppo avverate, almeno per quanto riguarda la parte peggiore (e, in Italia, maggioritaria) della società, ma la pubblicità (e il mezzo televisivo) sono soltanto due aspetti della vita economica e sociale: infatti esisterebbe una molteplicità di fonti di informazioni attraverso le quali potremmo verificare la veridicità delle promesse contenute nei messaggi o in altri strumenti di comunicazione, basterebbe svegliarsi!
Packard e il suo libro possono essere considerati a tutti gli effetti i capostipiti del pensiero antipubblicitario che solo può contrastare l'opera devastante dei persuasori.
Rimangono peraltro più che mai attuali alcuni spunti di riflessione, soprattutto dal punto di vista etico.

mercoledì 7 maggio 2008

Chi semina vento...

Riguardo al tragico episodio di Verona, trovo inqualificabile che l'accusa per quei cinque "sconsiderati" (uso volutamente un termine non troppo incisivo) possa essere quella d'omicidio preterintenzionale.
Con un'accusa del genere e visto il lassismo imperante, gli assassini starebbero al fresco solo pochi mesi!
Io di diritto ne mastico poco ma sono dell'opinione che, in uno stato giuridicamente evoluto, la preterintenzionalità dovrebbe applicarsi solo in caso d'azioni difensive.
A mio avviso, nella fattispecie, l'accusa d'omicidio volontario (se non premeditato, vista l'acclarata intenzione dei cinque d'attaccare briga contro il primo sventurato che gli capitava a tiro) ci starebbe tutta.
Quanto al primo cittadino, invece di liquidare tutto con banalità tipo "sono solo dei deficienti", rifletta a lungo sulla vecchia massima chi semina vento raccoglie tempesta.

sabato 3 maggio 2008

A proposito del Ponte di Messina

La follia della più lunga campata del mondo non basta (oltretutto in zona soggetta a rilevanti dislocamenti tettonici e a forte ventosità); su una tale campata vorrebbero farci passare anche i treni!
Evidentemente qualcuno finge d'ignorare che un ponte sospeso non si presta al traffico ferroviario e ne spiego il motivo sulla base d'una semplice esperienza personale.
Alcuni anni fa, a Colonia, ebbi occasione di percorrere a piedi un modesto ponte sospeso stradale che scavalca il Reno congiungendo la città al sobborgo di Poll e osservai come bastasse il transito di veicoli anche leggeri a rendere fisicamente percepibile la cosiddetta "freccia".
Orbene: le vie ferrate funzionano solo se poggiano su strutture sufficientemente "rigide": in altri termini non tollerano "frecce" troppo accentuate in quanto comportano rischio di deragliamento (s'immagini un deragliamento sul Ponte!) e, non per nulla, i grandi ponti sospesi accolgono solo traffico su gomma.
Figuriamoci se i treni - magari due convogli che s'incrociano - potrebbero transitare su una campata d'oltre 3 km senza rischi ben oltre la soglia del ragionevole!
A questo punto - ammesso per assurdo che il Ponte si costruisse come da progetto - delle due l'una: o le vie ferrate rimarrebbero inutilizzate o i treni potrebbero transitare a passo d'uomo. Morale: si sarebbe spesa una marea di quattrini e le ferrovie non trarrebbero dal Ponte alcun beneficio.
Quanto al traffico stradale non mi pronuncio ma mi sia consentito ritenere che il grosso problema non è traversare lo Stretto ma arrivarci, viste le condizioni della SA-RC.
Ritengo peraltro che l'ipotesi più attendibile sia l'ipotesi C: il Ponte è una chimera (volutamente evito termini più appropriati) e chiunque abbia un minimo di buon senso capisce che non sarà mai costruito perché - anche se l'Italia diventasse d'incanto il Giappone, la Germania o gli USA - un' infrastruttura simile a quella proposta è e rimarrebbe un'insensatezza.
Il guaio è che su questa chimera ha lucrato, lucra e lucrerà un sacco di gente, ma questa è un'altra storia.