venerdì 26 ottobre 2007

Ancora sulle foibe

Le ragioni del velo di silenzio circa le sorti delle popolazioni istria­ne nell'immediato dopoguerra furono numerose.
Per buona parte della sinistra gli esuli erano una quinta colonna fascista in terra slava e non meritavano pietà.
Per il governo l'Istria era motivo d' imbarazzo. Se appariva lecito rivendicare Trieste, dove la grande mag­gioranza della popolazione era italiana, era d'altronde chiaro che nessuno, in Europa e negli Stati Uniti, avrebbe aiutato l'Italia a modificare i confini creati dalla Seconda guerra mondia­le.
Inoltre, qualora il ricordo delle foi­be e dell'esodo fosse stato rinfocolato, il governo avrebbe incoraggiato i sopravvissuti a manifestare i loro senti­menti e avrebbe dovuto appoggiare la loro causa. De resto anche il governo tede­sco - dove gli esuli (fra i dodici e i quindici milioni) rappresentavano un formidabile fattore elettorale - dette prova di grande pruden­za in materia. Nessun politico at­tizza il fuoco della protesta se teme che le fiamme, alla fine, possano bruciargli le natiche.
Ma c'è un'al­tra ragione. Se avesse ufficialmente "sponsorizzato" la causa degli esu­li, il governo non avrebbe potu­to limitarsi a denunciare le atrocità di cui era­no stati vittime ma avrebbe dovu­to agire di conseguenza, pro­muovendo commissioni inter­nazionali d'inchiesta e azioni giudiziarie. Prima o poi, in altri termini, si sarebbe dovuto chiedere ufficialmente alla Jugoslavia di consegnare a noi, o a una autorità sovranazionale, i responsabili di quelle atrocità. Per contro siffatte richieste avrebbero - a loro volta - indotto la Jugoslavia a chiederci di consegnarle i nostri criminali di guerra, i fascisti che nel 1941, senza giustificato motivo, invasero (in combutta con i nazisti) uno stato sovrano il quale, oltretutto, all'epoca dell'invasione, non costituiva nemmeno una spina comunista nel fianco dell'Italia fascista.
Chiaramente nessun politico italiano con la testa sulle spalle era disposto, nell'immediato dopoguerra, a pren­dere in considerazione iniziative del genere.
Non va inoltre dimenticato quali fossero il cli­ma e la ferocia delle molte guerre combattute in Jugoslavia fra il 1941 e il 1945: partigiani comunisti con­tro tedeschi e italiani, «titini» contro «cetnici» del generale Mihailovic, serbi contro croa­ti, SS bosniache contro formazioni comuniste. Certo, noi fummo gli invasori e la nostra responsabilità politica nei confronti della Jugoslavia è innegabile tuttavia il modo di fare guerra fu tipicamente "balcanico" per cui la crudeltà toccò vette inaudite, peraltro usuali in quelle terre (come fatti più recenti hanno ampiamente dimostrato).
Oggigiorno è facile, dopo tanti anni, trinciare giudizi dal­l'alto della nostra presunta "superiorità mo­rale". Ma chiunque avesse osservato tali vicende con mente non ottenebrata dalla faziosità avrebbe capito quanto sia arduo districare, nel caos d'una terribile guerra civile, le colpe degli uni da quelle de­gli altri.
Fece bene, quindi, il governo italiano dell'epoca a ignorare la trista vicenda perché parlarne avrebbe significato suscitare reazioni le quali avrebbero inevitabilmente fatto emergere le atrocità di cui anche l'Italia si macchiò. Le priorità del Paese allora erano altre: la ricostruzione non solo materiale ma anche morale, la riconciliazione nazionale, la creazione di uno Stato su nuove basi democratiche, l’integrazione europea.
Tutte cose che, certi fascistelli di buona famiglia cresciuti a caviale, champagne e lettura de "Il Borghese" continuano a non capire in quanto antropologicamente inidonei.
A proposito di fascistelli, se ben ricordo, un noto esponente della destra, durante uno dei suoi innumerabili interventi televisivi ebbe a farfugliare qualcosa circa le foibe (non ricordo esattamente cosa: le parole del personaggio non meritano mai soverchia attenzione), argomento che, assicurò, presto sarebbe stato portato a conoscenza della cittadinanza.
Trattandosi di personaggio pubblico e palesemente voglioso di visibilità (non per nulla appare in tivvù quasi quotidianamente sebbene le sue sparate lascino indifferenti perfino quelli della sua fazione) vien da pensare che il Nostro pensasse, per questa via, di "scatenare un'ondata di sdegno" acquistandone ulteriore visibilità.
Il Nostro fu accontentato: infatti, sulle foibe, la tivvù mandò in onda una fiction nella quale - sarebbe tutta da da ridere se non ci fosse da piangere - i partigiani comunisti non furono neppure rappresentati troppo male.
Ma non è tutto: fu addirittura istituita un'apposita "giornata della memoria" che viene tuttora celebrata nell'indifferenza generale.
Quindi il Nostro perpetrò, paradossalmente, un ennesimo oltraggio nei confronti di quei poveretti, della cui morte fu primo responsabile un regime che il Nostro rinnega solo a parole (e a volte nemmeno a parole).
Adesso il Nostro non parla più di foibe e me ne compiaccio: evidentemente, dopo tanti anni che ne fa, la politica comincia a insegnargli qualcosa.
Riposate in pace, vittime delle foibe, voi ormai siete superiori a queste miserie!

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