domenica 3 febbraio 2008

La politica "da osteria"

Cito a memoria (quindi posso sbagliare) un gustoso passo tratto da un vecchio libro, "Candele gialle per Parigi" scritto dal grande e dimenticato Bruce Marshall e ambientato in Francia alla vigilia dell'invasione nazista:
"Il locale era pieno di fumo e di gente intenta a bere, a governare Francia, Germania, Inghilterra e a dire merde".
Secondo me questo quadretto descrive con mirabile sintesi l'essenza di quella che io chiamo politica da osteria e che, sempre secondo me, non è meno dignitosa e meno sensata della politica ufficiale, almeno nell'Italia d'oggigiorno.
La "politica da osteria" è già tale nelle osterie, ovviamente: però in democrazia bisogna convincere i molti per averne i voti e i molti sono più in grado di capire i ragionamenti da osteria che quelli raffinati (però il raffinato sen. Andreotti di voti ne raccoglieva ugualmente; il fatto è che i metodi della politica sono cambiati e, da come la vedo io, la cosa ha dato discutibili risultati).
Da qui una certa politica proposta dalla televisione, nuovo tipo d'osteria (molto meno simpatica, purtroppo).
Quasi sempre poi s'indicano i fini, sui quali sono tutti d'accordo (a parole), piuttosto che i mezzi per raggiungerli. Chi non vorrebbe contemporaneamente una diminuzione del carico fiscale e un miglioramento dei servizi pubblici? Il problema non è formulare lo scopo da raggiungere, il problema (grosso problema, soprattutto in Italia, e non da ieri) è indicare i mezzi per ottenerlo.

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